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Questo articolo fa parte della Sezione di Scritti a cura dei Dottorandi di Ricerca

"Teorie e scritture dell'architettura contemporanea" Vai  all'indice di tutti gli articoli  >>


Il seminario condotto da Antonino Saggio  ha inteso fornire uno spaccato critico su alcuni testi recenti di Teoria dell'architettura contemporanea e allo stesso aprire la riflessione sul rapporto tra teoria e pratica progettuale all'interno dell'attività dei partecipanti, A partire dal testo analizzato e commentato in ciascun articolo è presente un progetto architettonico che serve ad esemplificare, seppure parzialmente, alcuni nessi tra elaborazione teorica e ricerca progettuale di ciascun dottorando di ricerca.


Dottorato di Ricerca in

Composizione Architettonica (Teoria dell'architettura)

Facoltà di Architettura Ludovico Quaroni – La Sapienza Roma

Direttore Lucio Barbera

 




Verso una teoria dell’ “evento” nella cultura del moderno

       di Marco Cerase

 

Un radicale ripensamento della concezione occidentale del tempo per una ridefinizione del concetto di “modernità” e una nuova teoria dell’agire.

 

Sanford Kwinter,

Architecture of Time. Toward a Theory of the “Event” in the modernist culture,

The MIT Press Cambridge, Massachussets USA; London, England 2001 (pp.248)

 

             

 


 Architectures of Time” è una raccolta di saggi scritti da Sanford Kwinter a partire dagli anni ’80 e pubblicati nel 2001 dalla MIT Press di Cambridge.

Si tratta di un’opera ambiziosa, che si inserisce in quella vasta letteratura filosofica e scientifica che individua nei decenni a cavallo del 1900 le fondamenta di un nuovo paradigma, gettate da una serie di scoperte convergenti nei campi della fisica, dell’arte e della filosofia.

 

Non inganni il titolo: in “Architectures of time” il vero tema non è l’architettura, qui considerata in una ampia accezione comprensiva di ogni oggetto tecnico e culturale, bensì il tempo; solo il terzo capitolo, imperniato sulla figura di Antonio Sant’Elia, tocca temi strettamente disciplinari, mentre è lo stesso autore a sconsigliare ai “lettori con un interesse più pressante per gli studi del progetto” la lettura dei due capitoli finali, dedicati all’opera letteraria di Franz Kafka.

 

 

 

 

 

 

 

 

 


Attraverso figure di riferimento come Nietzsche, Bergson, Foucault e Deleuze, l’autore confuta la nozione determinista e trascendente del tempo della scienza, che è oggettivo, quantitativo, geometrico e spazializzato; ad essa oppone il tempo dell’esperienza e dell’evento, qualitativo, significativo, unidirezionale e non lineare, recuperando quell’idea di fluidità temporale propria di Lucrezio, delle filosofie presocratiche e di quelle orientali.

 

 

L’esagramma del Creativo dall’ I Ching, l’antico Libro dei Mutamenti cinese

 

 
 

 

 


E’ nell’ambito di questa diversa concezione del tempo che Kwinter affronta il problema dell’innovazione (novelty), ovvero del continuo affiorare di forme nuove. L’innovazione non è prodotta dalla trasformazione di una predeterminata “possibilità” in “realtà” attraverso una astratta e atemporale riproposizione di forme eidetiche prefissate; al contrario essa nasce nel processo di “attualizzazione del virtuale”, attraverso il quale una configurazione “virtuale”, ma già pienamente concreta, emerge o meno alla realtà a seconda delle miriadi di eventi che il ribollente flusso temporale porta con sé.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Dal modello Possibile/Reale al modello Virtuale/attuale

 

 
 

 

 


Per rendere di immediata comprensione questo concetto Kwinter si serve dell’immagine del fiocco di neve, la cui irripetibile configurazione geometrica è frutto di una moltitudine di fattori, dalla temperatura, all’umidità, alla presenza di silicati nell’atmosfera, al vento, alla gravità e così via; alla rigorosa mutevolezza del fiocco di neve viene contrapposta la fissità senza tempo del cubetto di ghiaccio, la cui forma, al contrario, è predeterminata e dipende unicamente dallo stampo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


Egualmente efficace è l’immagine della “morfogenesi” (processo di creazione delle forme) nell’ambito degli “streaming sports” o sport di flusso, come il surf ed il free-climbing, nei quali le traiettorie degli sportivi non sono fissate a priori, ma nascono “morbidamente” dall’interazione all’interno del flusso del tempo tra il corpo umano e gli elementi naturali. E’ in queste due metafore che ci sembra di scorgere l’indicazione più interessante per chi si occupi del progetto.

 

 

 

 

 

 

 

 

Il surf ed il free climbing

 

 
 

 

 


Il testo di Kwinter non si limita alla speculazione filosofica, ma constatando il momento di impasse culturale che stiamo vivendo, tenta la definizione di una nuova teoria dell’agire, in grado di superare la mancanza di scopo e di prospettiva politica e la compiaciuta autoreferenzialità dell’architettura come delle altre discipline umane. Tale tentativo comporta una preliminare ridefinizione della modernità, intesa come categoria metastorica: ciò che accomuna pensatori “moderni” come Lucrezio, Giordano Bruno, Spinosa e Nietzsche, che hanno determinato dei radicali mutamenti nel pensiero, è proprio il rifiuto della trascendenza, di uno schema fondativo esterno e totalizzante. Della modernità Kwinter individua quindi tre assi principali: l’asse dello spazio o dell’oggettività (formalismo, semiologia, strutturalismo, logicismo; Picasso, Mondrian, El Lissitzsky e Wittgenstein); l’asse del tempo o della soggettività, (fenomenologia, surrealismo, simbolismo; Joyce, Pound, Elliot); e infine l’asse del movimento, che compone l’apparente anteticità dei primi due, rappresentato dall’antipositivismo, dalle cosmologie del mutamento, dalla contestazione del dualismo e da filosofi come Nietsche e Bergson.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

I tre assi della modernità

 

 
 

 

 

 


Alla luce di tali considerazioni Kwinter pone in nuova luce le figure di Einstein, Bergson, Boccioni, Sant’Elia e Kafka, per mettere in evidenza un comune substrato metafisico tra gli scienziati e gli artisti che operarono nei decenni a cavallo del ‘900. Ne risulta una originale rilettura del movimento moderno e delle avanguardie, il cui carattere principale non è più la rottura con il passato, ma il superamento di un tempo assoluto e pertanto privo di realtà.

 

 

 

 

 


 

 

 

 

 

 

Umberto Boccioni in un disegno di Balla e la sua opera “Forme uniche nella continuità dello spazio”

 

 
 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Antonio Sant’Elia e due disegni dalla “Città Nuova”

 

 
 

 

 


La lettura del testo di Kwinter è stata per me particolarmente stimolante, per via del mio interesse nei confronti delle filosofie orientali e dei problemi epistemologici. Attraverso l’approfondimento di autori come Pirsig, Capra, Feyerabend, Watts e altri mi sono convinto della relatività del dualismo tipicamente occidentale tra il dato oggettivo da quello soggettivo. Tale convinzione ha delle ricadute profonde in architettura, dal problema della percezione-esperienza dello spazio, che avviene inevitabilmente attraverso il tempo, a quella del rapporto tra oggetto architettonico e contesto, sia esso naturale o urbano. In particolare trovo totalmente superata la concezione dell’edificio come oggetto autonomo ed autoreferenziale, figura dialetticamente contrapposta allo sfondo, dato che accomuna gran parte dell’architettura occidentale degli ultimi cinque secoli, compresa quella del ‘900. Queste riflessioni mi hanno accompagnato nella elaborazione della mia tesi di laurea, un progetto per la risistemazione dell’area della Stazione Tuscolana. Il progetto sfrutta ed enfatizza la grande cesura urbana dell’area ferroviaria, immaginata invece come un grande fulcro verde per la riconnessione dei due quartieri attualmente divisi dai binari. Il progetto opera una rilettura della forma urbana dei due quartieri, più netta quella del lato nord, sostanzialmente conforme alle previsioni del piano del Saint-Just del 1909, più slabbrata quella del lato sud imperniato su via Assisi. Le tracce e i flussi dei quartieri preesistenti vengono conservati e reinterpretati senza nessuna volontà mimetica, ma con l’obiettivo di radicare fortemente il progetto al luogo intensificando le possibili relazioni tra l’intervento e il brano di città in cui esso si va ad inserire. Dal punto di vista formale il progetto nasce dall’incontro tra un flusso curvilineo parallelo ai binari, che ha già lasciato una impronta indelebile nella configurazione fisica del tessuto urbano, e un nuovo flusso trasversale attraverso cui realizzare una ricucitura tra i due quartieri.

La concezione dinamica e fortemente attenta al fattore temporale si rilegge anche nel parco, i cui bordi vengono definiti da grandi dune verdi dal profilo variato che hanno la funzione di schermatura rispetto ai binari, che vengono conservati, e di riconnessione visiva tra il vuoto del parco e l’edificato circostante.

 

Marco Cerase, tesi di laurea: l’area della stazione Tuscolana

 

 

 

Marco Cerase, tesi di laurea: planimetria dell’intervento

 

 

 

Marco Cerase, tesi di laurea: assonometria e “manifesto” concettuale

 

 

 

Marco Cerase, tesi di laurea: vista degli edifici e del parco

 


Brevi note sull’autore

 

Sanford Kwinter è progettista, critico, scrittore e filosofo newyorchese, ed è considerato uno dei più importanti pensatori americani contemporanei . È stato co-fondatore e redattore della rivista “Zone”. Nei suoi testi si è occupato prevalentemente delle ripercussioni filosofiche del progetto, dell'architettura e del urbanistica. Ha ricevuto un Ph.D. in letteratura comparativa dall'università della Colombia. E’ professore associato all'università of Rice a Houston, Texas.

 

In Italia Sanford Kwinter è noto principalmente come teorico all’interno della corrente di pensiero sull’architettura e sulla città che vede il suo punto di riferimento in Rem Koolhaas. E’ infatti con l’architetto olandese e Stefano Boeri che nel 2000 allestisce la mostra “Mutations” sulla città contemporanea, che esordisce a Bordeaux e riscuote grande successo in diverse città europee. Ed è ancora Rem Koolhaas l’oggetto del suo saggio “Rem Koolhaas. Verso un’architettura estrema” (postmediabooks 2002)

 

Tra gli altri suoi scritti:

·        Zone 1-2, “The contemporary city”, con Michael Feher, 1987

·        •Zone 6, “Incorporations”, con Jonathan Crary, 1992

·        “Virtual City; or the Wiring and Waning of the World”, in Assemblage, 1996

 

 

 

Ricordiamo inoltre l’introduzione a “Conversations with students” di Rem Koolhaas, il testo monografico sull’opera degli MVRDV, gli interventi nei volumi “Mood River”e “Pandaemonium”.

 

 


 


Sanford Kwinter (a destra) con Rem Koolhaas


 

 

 


 

 

 

 

 

 


 

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